Si è concluso ieri 27 Giugno, presso la sede del GRID di Frosinone, il convegno dal titolo “Un paese vuol dire non essere soli”, al quale hanno partecipato gli europarlamentari della Commissione Agricoltura Nicola Procaccini e Camilla Laureti, incontrati da Matteo Salvadori, coordinatore del network Re.La.Te (Reti, Laboratori e Territori).

Tanti gli spunti di riflessione emersi durante l’evento: l’importanza, per l’Europa, dei borghi e delle aree rurali; il valore dell’innovazione apportata dalle nuove generazioni di agricoltori; le difficoltà nel creare dialoghi, relazioni, connessioni e confronti sul territorio, nonchè quelle relative alla riqualificazione delle realtà virtuose e alla costruzione di progettualità imprenditoriali collegate; la necessità di accorciare le distanze tra Parlamento Europeo e territori; il bisogno di lavorare insieme, animati da un senso comune, a servizio di obiettivi fondamentali come “la sicurezza alimentare” (la possibilità, per tutti, di ottenere gli alimenti a prezzi accessibili).

L’On. Laureti – soddisfatta dello svolgersi di manifestazioni come il Festival di Ruralidea, perchè permettono di dare risalto alla particolarità e sono occasione di quella conoscenza del territorio che porta all’adozione di decisioni più giuste – ha esordito riconoscendo sin da subito l’importanza della specificità di alcune realtà rurali che, proprio perché piccole, vanno sostenute: “Ci sono alcune aziende e realtà rurali che dobbiamo difendere”, ha affermato l’europarlamentare, insistendo sulla necessità – per i territori – di unirsi nella battaglia per il riconoscimento delle proprie esigenze: “Insieme possiamo dare risposte diverse”. L’Onorevole ha inoltre rimarcato la grande battaglia che l’Europa sta portando avanti a favore dell’agricoltura e degli agricoltori, della biodiversità e dello sviluppo dei territori, aggiungendo che la direzione presa dal Parlamento Europeo è pressochè la stessa imboccata da gruppi d’azione quali Re.La.Te: “Quello di cui voi parlate e per cui lottate è la linea che sta prendendo l’Europa”, ha dichiarato compiaciuta la Laureti, rivolgendosi ai membri del network organizzatore dell’evento, indicando dunque come il titolo del convegno sia più che giusto “Un paese vuol dire non essere soli”, per l’appunto. La vicinanza dell’Europa ai territori che l’Onorevole ha evidenziato – come esempio è stata citata la deroga alla PAC (Politica Agricola Comune) del 2023, che ha permesso di dare coltivazione diretta e libera a quei terreni che, per regola, dovevano rimanere incolti – si configura come possibile soluzione al bisogno di connettere progettualità che vadano “oltre la piazza del Comune” e che pongano i soggetti su quelle realtà di progettazione a medio livello su cui si possa lavorare.

Alla domanda, da parte di Salvadori, sulla possibilità e le modalità per valorizzare la biodiversità e le piccole aziende, l’europarlamentare Nicola Procaccini risponde che non è facile trovare un piano d’azione e di strategia comune, spesso perchè si creano disordini per sovrapposizione di competenze nell’accesso ai fondi e agli incentivi; tuttavia, spiega Procaccini, esiste un aspetto positivo rappresentato dall’ingresso, nell’attività agricola, della nuova generazione di imprenditori, la quale è più specializzata nell’ottenere i finanziamenti e dispone di una cultura che fa valorizzare la specificità. Allo stesso quesito relativo alla riqualificazione delle realtà virtuose con l’aiuto dell’Europa e di una progettazione più libera dai vincoli – come pure tramite una connessione trasversale informale, dunque un confronto, tra Commissione Europea e amministratori locali – l’europarlamentare insiste sulla soluzione insita nell’innovazione, che comunque – a suo parere – interagisce con la tradizione: “L’innovazione è una delle grandi chiavi di volta. Penso che la tradizione sia quel quid figlio dell’esperienza maturata negli anni, che rappresenta quel qualcosa in più che dona ai prodotti della terra quella eccezionalità capace di renderli attraenti sul mercato. Ma è con l’innovazione che questi prodotti hanno più forza e consistenza qualitativamente e quantitativamente”; queste le parole di Procaccini.

aspetti per i singoli Stati. Il ricorso all’uso dei regolamenti in materia agricola, ad esempio, è molto frequente ed elevato, segno evidente di una legislazione profondamente comune, identica per tutti gli Stati membri. Il regolamento, infatti, rappresenta uno strumento giuridico che permette di applicare direttamente il diritto unionale all’interno dei diversi quadri giuridici nazionali. L’agricoltura ha scelto l’Europa ben prima degli altri settori economici e da essa ha tratto sicuramente benefici: la gestione di un grande mercato comune, che porta anche alla standardizzazione delle regole, la delega ad un livello sovranazionale delle scelte sull’agricoltura hanno contribuito a creare una agricoltura comune ed un senso di condivisione tra gli agricoltori degli stati membri. Anche nei periodi di crisi, come quello che stiamo attraversando legato alla pandemia del COVID, o in passato, basti pensare alla crisi della BSE, l’Europa è intervenuta a tutela non solo degli agricoltori, ma anche dei consumatori e cittadini europei, con misure uniformi ed immediate identiche per tutti gli Stati e cittadini europei. Essere parte di un quadro normativo comune non vuol dire, tuttavia, perdere l’identità delle tante “agricolture” che abbiamo in Europa. Infine, la PAC è stata e rimane fondamentale per la costruzione europea anche per quanto riguarda gli aspetti di inclusione sociale ed ambientale. In merito al primo aspetto, la PAC ha permesso una grande inclusione sociale e dei lavoratori. Abbiamo visto che durante la crisi del COVID, la chiusura di alcune frontiere ha impedito a molti lavoratori di spostarsi per rendersi in altri Stati membri dove, in passato, si recavano regolarmente. Fenomeno noto a tutti gli agricoltori, ma che è emerso ed è diventato chiaro per i cittadini solo in questo periodo. L’assenza dei lavoratori “pendolari” tra Stati ha messo a rischio i raccolti ma ha dimostrato quanto questa politica sia transnazionale ed inclusiva. Anche dal punto di vista della tutela ambientale la PAC chiama ad uno sforzo comune di tutti gli agricoltori europei che, insieme, contribuiscono in modo uniforme ad una diminuzione dei gas ad effetto serra ed alla lotta ai cambiamenti climatici ed a gestire le risorse naturali in modo sostenibile. Incertezze per il futuro: in seguito alla riforma, il futuro della PAC è ancora in bilico tra la rilevanza affidata a questa politica comune, ancora al centro delle sfide dell’Unione, e un panorama di incognite e incertezze legate anche alla gestione nazionale nell’ambito di un quadro unionale. Si può ancora sostenere che la prossima PAC risponda agli obiettivi del Trattato? Non si può negare che nel corso degli anni è stato eroso gradualmente il plafond di risorse destinato alla politica agricola, diminuito in termini reali e in relazione alla incidenza sul totale del bilancio della UE, passando da oltre il 50% al 30%. Laddove, infatti il Trattato vede la PAC come una politica che sostiene il reddito degli agricoltori, le proposte di riforma vanno in un senso diverso. Gli agricoltori non sono più chiamati ad “incrementare la produttività” bensì a diminuirla, a scapito della fornitura di servizi ambientali. Tutto questo mentre aumenta l’attenzione a livello globale per le tematiche della food security e la consapevolezza, anche dopo la pandemia del Covid-19, della strategicità di un autoapprovvigionamento sufficiente e di una compagine di imprese agricole che abbiano sufficiente fiducia per continuare ad operare in uno scenario sempre più complesso tra minacce del cambiamento climatico e volatilità dei mercati. La diminuzione della produzione ed i sempre più elevati standard produttivi cui sono chiamati gli agricoltori, potrebbero anche far venir meno l’ultimo obiettivo del Trattato, vale a dire garantire prezzi equi per i consumatori che potranno dover pagare, come contribuenti e come consumatori, prodotti qualitativamente ma non quantitativamente sufficienti, aprendo la porta ad importazioni da paesi terzi che non rispecchiano gli stessi standard qualitativi ed ambientali dell’Europa.

In sostanza ci si deve interrogare se la riforma e le strategie del GreenDeal non modificheranno l’unica politica veramente unionale della UE incidendo in modo sostanziale anche sulla grande idea di un “mercato comune dell’agricoltura e dei prodotti agricoli” prevista dai fondatori dell’Europa.

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